Cagliari: Il carnevale all’inizio del secolo scorso

Il  clou nel carnevale agli inizi del ‘900 è la corsa a pariglie di via San Michele (odierna via Azuni nel quartiere Stampace), una strada che anche allora si sviluppa in discesa

di Sergio Atzeni

Il periodo di carnevale di oltre 100 anni fa all’inizio del ‘900 è animato da gruppi di persone mascherate, ma anche solitarie, che percorrono le strade di Cagliari a piedi e a cavallo.
E’ un susseguirsi di maschere che lanciano ceci, fagioli, polenta e gesso sui passanti in segno di giubilo.
L’iniziativa è dei privati, spesso riuniti in gruppi di amici appartenenti ai quattro quartieri storici che si abbigliano nei modi più strani usando abiti dismessi e rattoppati.
Ci si arrangia con quello che si può procurare o si ha a disposizione: gli abiti di genitori e sorelle fanno al caso, specialmente se fuori moda.

Proprio in quegli anni nascono le figure carnevalesche che sono arrivate fino ai giorni nostri. “Sa panettera” è la maschera più rappresentativa, su gattu, sa viuda, su concali de porcu, sa mongia su cabesusesu, su dottori, su cassarori, sono quelle più usate in quegli anni per i travestimenti.

Un carnevale povero e improvvisato fatto di tanta allegria ed entusiasmo: la gente sente che in questo periodo deve dimenticare le tante tristezze dell’anno.
Non manca per le strade “sa ratantina”, il più noto gruppo di maschere in origine composto di soli pescatori.
All’inizio del ‘900 diventa variegato e se ne forma uno per quartiere forte di oltre 50 maschere precedute da piffero, tamburo e triangolo.

Qualcuno addobba anche il proprio carro da lavoro trainato da buoi che riempie di amici vestiti in modo strampalato: in seguito lo scenografo del teatro Civico prenderà lo spunto per trasformarli in veri carri allegorici.
Ma il clou nel carnevale di oltre un secolo fa è la corsa a pariglie di via San Michele (odierna via Azuni nel quartiere Stampace), una strada che anche allora si sviluppa in discesa.
Partendo dalla chiesa di San Michele, i concorrenti vestiti a maschera in coppia, ma anche in tre o in quattro, in groppa ad altrettanti destrieri, si lanciano al galoppo dopo il suono del corno che dà il via alla gara.
La corsa sfrenata si svolge tra due ali di folla tutta in maschera e con i balconi e le finestre gremite di gente che non vuole perdere la discesa di cavalli e cavalieri.
La Pariglia che vince è quella che compone la migliore e più difficile figura acrobatica e che mostra di stare saldamente in sella.

La gara di destrezza parte dopo mezzogiorno e continua fino all’imbrunire, non pochi concorrenti perdono l’equilibro e cadono a terra spesso travolgendo gli spettatori.
Quel giorno serve per dimenticare e, sia prima sia dopo la manifestazione, scorrono fiumi di vino e si consumano quintali di arselle, zerri e interiora di maiale.

Poi la pentolaccia chiude il carnevale con tradizionali serate di ballo.
Famosa nel 1905 quella organizzata al “circolo degli impiegati” dove si danno appuntamento tanti coniugi ma anche molti scapoli in cerca dell’anima gemella.
Poter abbracciare una ragazza o un ragazzo per i giovani non era cosa semplice in quei tempi per questo quelle serate di ballo erano attese da tutti e frequentate.
Anche il circolo Iris non sta indietro per l’organizzazione dei balli della pentolaccia e proprio un secolo fa la serata si conclude alle 7 del mattino.
Poi arriva la quaresima e i grandi problemi della città fatti di fame, malattie, mancanza di lavoro e povertà assoluta riprendono il sopravvento.

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