Nel 1794 i sardi si ribellano,  cacciano dall’isola i  Piemontesi ma rinunciano all’indipendenza 

Il  28 aprile 1794,  chiamato “Sa die de sa Sardigna” (Clicca per leggere gli avvenimenti), decretata dal Consiglio regionale come   “Festa nazionale sarda”, Il popolo scese in piazza e cacciò i Piemontesi, poteva essere il giorno della indipendenza e la proclamazione della Repubblica sarda. Ma non lo fu. Nella foto   rievocazione dell’avvenimento qualche anno fa in Castello a Cagliari

di Sergio Atzeni 

I nobili che avevano organizzato l’insurrezione infatti come obiettivo c’era quello di ottenere qualche privilegio, peraltro banale, perché leggendo i famosi cinque punti richiesti  ci si accorge che il popolo non poteva essere la parte interessata a quella rivoluzione.

Questo perché le richieste  come la Convocazione almeno ogni dieci anni del Parlamento, Riconferma di tutti i privilegi del regno, Riserva degli impieghi militari e civili ai Sardi, con la sola esclusione della carica di Viceré, Creazione di un nuovo ufficio della Reale Udienza con il compito di controllare la legittimità dell’operato del Viceré e l’Istituzione di un ministero per gli affari di Sardegna non poteva che interessare solo  l’alta borghesia e i nobili.

 Il popolo in quel 1794 aveva altri problemi cioè quello della sopravvivenza sopratutto allo sfruttamento  da parte delle classi più agiate e non solo dai funzionari regi e viceregi.

Una giustizia inesistenze, analfabetismo oltre il 90 per cento, banditismo inarrestabile, malattie endemiche non curabili dai popolani,  sfruttamento da parte dei feudatari padri e padroni dell’economia e della giustizia,  atavica mancanza di lavoro:  questi erano i problemi che attanagliavano cagliaritani e sardi per i quali sarebbe stata opportuna l’insurrezione.

Invece i cinque punti richiesti fanno veramente capire come il popolo fosse estraneo e manovrato da chi gli interessi li aveva davvero tanto è vero che nessuno parlò di protesta contro i sovrani. Mai  visti tra l’altro in Sardegna nonostante le grande potenza glie la consegnarono in regalo nel 1720, si limitavano a governare  l’isola con il loro viceré che si comportavano da piccoli monarchi  assoluti a spese del solito popolo..

Insomma un’occasione perduta quella insurrezione che aveva cacciato senza grandi problemi l’entourage piemontese compresi i militari di protezione per un totale di non piu di 600 persone.

Ma indipendenza praticamente  acquisita in pratica non rientrava nei piani degli organizzatori e un nuovo viceré, con tante scuse dei rivoltosi, arrivò per continuare il governo assolutistico dei Savoia. Seguì il periodo rivoluzionario con  Giovanni mMia Angioy lasciato presto solo dai soliti nobili che avevano altri interessi  e a cui seguirono processi farsa e condanne a morte  a ripetizione.

Dopo iniziarono timide azioni di democrazia, con l’Editto delle chiudende che nel 1810 che non fece altro che creare il dualismo tra pastori  e contadini,  l’abolizione del feudalesimo sulle spalle dei sardi che dovettero pagarne il costo ingigantito per liquidare i padroni feudatari.

Poi l’Unione perfette con il Piemonte che praticamente significava la perdita del’indipendenza  almeno come Stato insulare chiamato Regno di Sardegna che aveva regalato  regno e  corona alla dinastia dei Savoia che si degnarono di venire nell’isola solo nel 1799 quando Napoleone li cacciò a colpi di cannone dal Piemonte e i costrinse  a rifugiarsi   nell’isola  con tutti i loro cortigiani: naturalmente  a carico del popolo Sardo.

Quindi ben venga come festa nazionale sarda per “Sa Die del Sa sardigna” ma non si può prescindere dal fatto che fu un’occasione mancata per l’indipendenza che avrebbe scritto tutta un’altra storia dell’isola.

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